giovedì 20 aprile 2017

UT n. 59, I segreti sul web. La poesia di Vittorio Camacci: "Quando il diavolo ci mette la coda. Ovvero come Rio Bo perse la Buona Stella"


In un paesello dal dolce crinale
un furbacchiotto e scaltro prelato
rubò i segreti dal confessionale
per simonia e concubinato

Ebbe il coraggio una vedovella
di denunciare tali misfatti
al brigadiere con la bandella
che nascondeva lascivi contatti

Reso impotente da un colpo in guerra
il buon mugnaio ebbe in dono due figli
or uno getta le croci per terra
e l'altro ingabbia incolpevoli grilli

Vittorio Camacci

mercoledì 19 aprile 2017

UT n. 59, I segreti sul web. Lo scritto di Michaela Menestrina: "Un segreto tra noi e voi da svelare a tutti"


Seduta sul divano, una madre si mette a riflettere a voce alta insieme al figlio. Senza lavoro.
"Da anni ormai la crisi morde le vite umane e lo fa in modo transgenerazionale. Per la prima volta nella storia, dal dopoguerra per intenderci, la generazione dei giovani è più povera, meno tutelata, abbandonata, di quella precedente.
Scarse, o meglio quasi nulle probabilità di un lavoro. Ma non era la nostra, la Repubblica fondata sul lavoro? Articolo uno della Costituzione, sì number one. E la filiera vitale o meglio mortale dell'oggi dice: no lavoro, no possibilità di vivere fuori dalla casa d'origine, no libertà, no autodeterminazione personale, no coppia autonoma, no famiglia per chi la vuole costruire... Insomma una serie infinita di no. Da Prozac senza ritorno. La proviamo a trovare una proposta alternativa a questa situazione? Perché i voucher sono diventati decisamente troppi e nascondono il segreto di un furto contributivo, le pensioni non bastano a sfamare contemporaneamente due generazioni, e, senza denaro per sopravvivere, vincono mafie e paranze dei bambini. Tra un po' troppi bambini, mica solo al sud. Affari di tutti, caro il mio figliolo".
Silenzio. Il figlio mette in bocca una caramella alla frutta e guarda il quadro, o il muro o dentro una possibilità.
"Ho trovato, - dice dopo un po' guardando la madre -. Senti questa, mamma. Voi sessantenni o giù di là siete l'ultima generazione illuminista, sì sì quella là, la volterriana. Andate sempre in profondità coi pensieri, pochi concetti e sviscerati ben bene. Noi siamo la generazione che naviga a vista intorno al globo tutto, velocemente, facciamo il surf sul mondo e sappiamo capire meglio di voi il mondo virtuale, la tecnologia e l'uomo tecnologico, le sue implicazioni, i futuri sviluppi. Noi siamo connessi altrimenti rispetto a voi. Anzi noi siamo nati connessi, voi vi ci siete adattati. Con qualche difficoltà, no? Cos'è un browser, come faccio a mandare una foto dal telefonino? Mi aiuti col wireless? E il touch? E allora perché non uniamo le forze? Voi ci permettete finalmente di metterci al vostro fianco, ci date metà della vostra giornata di lavoro, perché diciamocela tutta, non volete rinunciare al Vostro lavoro se ce l'avete, ci si è messa anche la riforma delle pensioni, che ci scalzerà oltre misura sul tempo del vostro ritiro. Allora senti qua: sia noi giovani navigatori sculturati che voi quasi occupati dalla fibra ottica oddio!
Davvero insieme per la prima volta cambiamo questo mondo, questa Italia, e scambiamo competenze reciproche. Da noi a voi e viceversa. Ci guadagniamo tutti: noi in dignità finalmente, così la smettiamo con questa dipendenza coatta senza apparente via d'uscita, voi con il senso della vostra vita".
"Beata gioventù, e io poco illuminata, che pensavo che il tempo delle caramelle non finisse mai".

Michaela Menestrina

martedì 18 aprile 2017

UT n. 59, I segreti sul web. Lo scritto di Francesco Del Zompo: "Codice 26111957FK"


Non c’è niente di più facile che confidare i segreti degli altri. Rivelare i propri è doloroso se non impossibile. Non parliamo di segreti leggeri, domestici o professionali, ma di quelli indigesti, pesanti, che segnano la propria vita, di quelli che deviano la strada per sempre, non potendo più tornare indietro tagliando ponti e cancellando prospettive.
Chi vive l’esperienza inesprimibile, la racchiude in sé per anni se non per una vita intera; la custodisce come una cellula tumorale da debellare senza alcuna terapia se non quella di coprirla con un filo che lentamente, ma inesorabilmente si fa bozzolo.
Per altri la speranza è che l’evento inconfessabile si diluisca in altri ricordi, rattoppandolo con atti vitali che lo occultino e narcotizzino in attesa di una cura definitiva.
Il passato si cancella, offuscato dal trauma subito, e il futuro si fa presente perché la grande storia’ è già accaduta. La vita diventa un libro scritto, fatta di sofferenza e di distacco. Sembra come vissuta da altri, spettatore di un film pieno di comparse diafane, inafferrabili e lontane.
Immaginavo questo, dopo che un amico mi scrisse una mail accorata e intima, provando a descrivere la sua vita con evidente difficoltà. Una lettera saltellante, dove i motivi di riservatezza si mescolavano a giustificazioni incomprensibili, quasi puerili, ma era evidente che se non a me a chi altro dirlo? Ero stato il suo primo e sincero amico fino a pochi anni prima, poi presi a frequentarlo sempre meno per quel suo modo tortuoso di comunicare. Era un cane sciolto, schivo, egocentrico, un uomo dal potenziale creativo non comune ma inespresso, sciupato per quel modo contorto di intendere la vita e il rapporto con le donne. Si doveva lavare subito le mani dopo ogni nuova conoscenza, fuggiva dalla folla, odiava le feste e le uscite fuori città.
Questo non succedeva da sempre ed è per questo che perdonavo le sue manie.
Da ragazzo era vivace, schietto, brillante e intendevo aiutarlo dopo aver compreso che desiderava aiuto senza chiederlo. L’avevo perso di vista per un po’, dopo aver trovato finalmente una compagna sincera e indipendente. Mi serviva del tempo per consolidare il nuovo rapporto dopo un periodo no. Gli amici, tranne lui, lo avevano capito e mi assecondavano in questo momentaneo distacco. Solo dopo più di un anno lo rincontrai per caso che passeggiava da solo, a testa bassa coperta da un berretto nero. Lo riconobbi a stento e subito fu polemica per non averlo più chiamato. Mi scusai e per spezzare l’imbarazzo gli presentai Giulia che ancora non conosceva, e lui, senza stringerle la mano, si rivolse a me come per minacciarmi: «Ti devo dire una cosa molto importante. Sai quanto so di te e quanto abbiamo sofferto insieme per le tue insopportabili bugie, testardaggini, inconcludenti progetti. Ho sempre condiviso tutto e in cambio mi hai dato il ben servito girandomi le spalle, proprio quando ne avevo bisogno. Sono stato sempre il custode dei tuoi segreti ma non intendo più farlo. Manderò una mail a tutti scrivendo quello che mi hai confidato scaricandomi addosso i tuoi problemi assurdi. Ma non lo farò in ‘chiaro'. Vincolerò il messaggio a un codice, cosicché solo chi ti conosce veramente saprà decifrarlo. La risposta a quel codice consentirà l’ingresso a tutto il tuo passato: 26111957Fk».

Francesco Del Zompo

venerdì 14 aprile 2017

UT n. 59, I segreti sul web. Lo scritto di Maria Grazia Maiorino : "Il colore dei segreti"



Lei - Un giorno mi parlasti del sole d’ottobre solo in apparenza cocente simile all’amore quando non si è più giovani ti risposi con una frase letta in un’intervista a Leonard Coen è bello ascoltare un ventenne che parla d’amore ma quando lo fa uno di sessantacinque anni è meraviglioso forse la fiammella dell’innamoramento andrebbe conservata in una solitudine monacale non lo so mettendo in gioco il resto ma non questo sguardo nuovo sul mondo a un ventenne non credo verrebbe mai in mente una simile idea

Lui – Si impara ad avere segreti per necessità ma forse anche per bellezza non credi? essere sovrani di piccole isole di lontananza inaccessibili e splendide nelle quali è possibile contemplare la propria distanza da tutto e sostare nella pienezza di qualche istante di felicità

Lei - Il mio apprendistato nel segreto non è stato facile molte volte ho rischiato di non riuscire il segreto è un peso da portare in qualsiasi momento anche quando ci sentiamo mancare le forze finché esso sembra acquistare come dirlo una sua consistenza forse la proiezione di qualcosa che all’interno si è solidificato in noi quasi potremmo dargli un nome esprimerlo con un colore

Lui - Mi piace l’eco che rimane in te dei nostri incontri donna dalle molte vite usi le parole come bacchette magiche per far durare il tempo qualche volta mi sento imbarazzato per il fatto di continuare a essere così presente anche quando non ci sono più o quando mi racconti un sogno e penso quello sono io e non sono io

Lei - Il segreto è stato più forte di me come il bisogno di far vivere da qualche parte quello che non può vivere nella realtà quello che non posso sentirti dire nemmeno in una telefonata c’è un segreto nel segreto ed è il luogo dove vivono le tue emozioni così raramente si lasciano afferrare che è necessario inventarle per chi come me farebbe della trasparenza il luogo dell’incontro

Lui - Tu vorresti carpire qualcosa che appartiene soltanto a me con ostinazione cerchi di dare forma durata a ciò che è legato a un momento a ciò che è preso furtivamente perché quella è la sua unica essenza non ne potrebbe avere un’altra la terra non è cangiante come le nuvole siamo plasmati da una sostanza dura che non ci riflette

Lei - Vorrei pioverti addosso come la luce argentea di questa luna avvolgerti senza che tu possa distinguere il volto di una donna da quello della regina del cielo ci può essere un’infinita perfetta libertà in un attimo purché ci spogli di ogni altro tempo di ogni altro peso

Lui – I miei spazi di libertà stanno diventando sempre più mentali ma anche nella mente essi hanno contorni incerti e confusi a volte mi sembra di non sapere più chi sono eppure la rinuncia non mi costa i miei spazi di libertà ti sono preclusi

Lei - Ma è così bello guardarti le spalle e pensarti come un atlante ancora capace di reggere questo mondo che sta impazzendo le tue spalle il mio mondo che è già andato in frantumi ed ora non potrebbe resistere proiettandosi nelle immagini di disgregazione che la guerra appena cominciata ci butta addosso

Lui – Tu vorresti parole presenza piccoli segnali e bussi alla porta del mio silenzio io sono il deserto dove la vita si cela nelle spine dei cactus ed esplode improvvisa in brevi fioriture o si diffonde in una luce che trascende le variegate possibilità delle forme

Maria Grazia Maiorino

martedì 11 aprile 2017

UT n. 59, I segreti sul web. La poesia di Michele Bartucci : "Segreti nascosti"




Forse
sei solo un sogno
o comunque
una creazione della mia mente.
Ma io
ho ancora il tuo sapore
sulla punta della mia lingua
ti sento in tutti i suoi pori
e la mia bocca, tutta
sa ancora di te.

Sento il tuo odore
fin nell’alto delle narici
ed il percorso
fino al cervello
sento invaso della tua essenza.

Sento la tua voce
echeggiare nelle trombe delle orecchie
ed all’unisono
la spingono su nella testa.

E vedo ancora la tua figura
stagliarsi davanti a me
come un dono
che ti porta l’estasi

e sento ancora sulle mani, sui polpastrelli
impressa fin nei solchi delle impronte
la tua pelle
che al contatto freme
e mostra i suoi brividi

E tutto insieme
tutti i sensi ed oltre
sento confluire
nelle cellule che portano al cervello
e nelle caverne più recondite
nascondono il tuo segreto

Michele Bartucci

lunedì 10 aprile 2017

UT n. 59, I segreti sul web. Il racconto di Elvira Bonin: "Il segreto"


Ma che bella giornata di m...”, sbottò Valentina lasciando cadere lo zaino che andò ad afflosciarsi debolmente sul pavimento. L’eco della sua voce la fece voltare di scatto, come se qualcuno avesse potuto ascoltarla in quel pianerottolo sempre silenzioso e deserto. La chiave girò rumorosamente nella toppa della porta che, spinta con forza, andò a sbattere sulla parete di contro.
Non era per niente di buonumore quella mattina Valentina, dopo avere scoperto per caso il suo ragazzo che amoreggiava con la sua migliore amica.
Aveva salito con affanno le scale dell’Ateneo per correre e rifugiarsi nell’auletta di Penale. La lezione non finiva mai, della voce del professore le arrivava soltanto il suono, e quando quella si faceva più acuta si sentiva scoperta mentre inseguiva altri pensieri, e allora abbassava lo sguardo e fingeva di prendere nota sul quaderno.
Quando fu per strada non si accorse neppure della pioggia che le punzecchiava il viso e le appannava gli occhiali.
A casa non c’era nessuno ad aspettarla, solo il silenzio che le ronzava nelle orecchie e la penombra in cui la casa era tuffata dandole un senso di soffocamento e di inquietudine.
Tirò nervosamente la tenda pesante della grande vetrata. Un gatto avanzava quatto quatto, coda bassa, sul muretto. Pioveva. Tra i rami del grande abete piccolissime luci si inseguivano alternandosi nei colori, rosso, giallo, verde.
E’ Natale”, disse Valentina, e si ricordò che la mamma le aveva dato appuntamento per la sera per lo shopping di Natale.
Squillò il telefono. “Sarà Roberto”, pensò. “Mi ha cercato sul cellulare e l’ha trovato spento, ma io non rispondo, non ho voglia di ascoltare le sue bugie”.
Intanto un raggio di sole si era fatto spazio prepotentemente fra le nubi addensate andando a fissarsi sulla parete in fondo. Valentina si avvicinò al divano dove il sole batteva più forte. Le piacque quel calore. Si allungò sul divano e si assopì.
Gli squilli ripresero. Si fermarono. Ricominciarono. “Perché tanta insistenza?”. Valentina si alzò, sollevò la cornetta e, “Pronto, pronto”, una voce squillante, lontana, le arrivava dall’altra parte del filo in un italiano stentato. “Cerco la signora Franca. Telefono dalla Germania. Sono la figlia di Pino R. Sono qui con me mia sorella Giusi e l’interprete”. “Ha sbagliato numero”, disse Valentina. “La signora Franca è mia zia, e abita al piano di sopra.”
Ora la voce dell’interprete le fissava un appuntamento per il giorno dopo e alla stessa ora pregandola di informare la zia chiedendole di essere presente possibilmente con gli altri di famiglia.
Valentina era senza parole. Dopo il clic del telefono che chiudeva la conversazione lei rimase con la cornetta ancora sollevata, incredula, confusa.
Si erano sbagliati forse, ma c’erano troppi dettagli che le facevano credere dell’esistenza di altre due figlie dello zio in Germania. Come dirlo alla zia, ormai anziana, ora che lo zio non c’era più per giustificarsi, per parlarle.
La zia lo aveva sposato che era vedovo con due figli. Sapeva dei suoi viaggi all’estero, del suo lungo soggiorno in Germania da ragazzo quando nel dopoguerra la gente si spostava dall’Italia per cercare lavoro. Sapeva del disagio della lingua, delle sue difficoltà di capire e di farsi capire, ma mai le aveva parlato di una donna e di altre due figlie. Lo aveva conosciuto come un grande lavoratore. Era stato anche in Svizzera, in Arabia dove raccontava di un clima impossibile, 50-60 gradi, irrespirabile. Le aveva raccontato delle abitudini della gente che aveva conosciuto, e lei si era appassionata a quei racconti, ma quel segreto gli era rimasto nel cuore intoccato fino alla morte.
Valentina si vide bambina quando lo zio l’accompagnava a scuola al posto della mamma e del papà che andavano via presto per lavoro. Ricordava le attenzioni che lo zio aveva per lei perché non prendesse freddo quando d’inverno le giornate erano rigide e piovose. Ricordava il gioco della “sorpresa” che lo zio teneva stretta in pugno nelle sue mani grandi e aspettava che lei indovinasse la mano giusta per donargliela.
Chissà se in quei momenti di gioco lo zio non pensava alle sue bambine ormai donne mentre lui forse le ricordava ancora piccolissime come quando le aveva lasciate. Quale sofferenza poteva provare senza poterla mai comunicare a nessuno.
L’animo di Valentina era agitato da mille pensieri, dibattuta fra la rabbia, la pena, e la comprensione. Ripassò in rassegna alcuni momenti della sua vita e si ricordò di una conversazione quando ormai giovinetta lo zio le disse:”Tu sei grande ormai, devi stare sempre attenta alla tua scelta. Se sbagli la persona che deve stare con te quell’errore lo paghi per tutta la vita”.
All’improvviso lo vide sul letto di morte. Soffriva, ma sembrava che un pensiero solo lo affliggesse. Con un soffio di voce ripeteva di continuo una frase che lei in quel momento non capiva. “Non ho neppure una foto”, diceva nell’affanno di morte.
Ora finalmente Valentina si dava ragione di quelle parole sofferte, ripetute, incomprese. Fra tutti quelli che gli stavano intorno lo zio forse cercava le sue due bambine, le cercava disperatamente, non le aveva mai dimenticate.
Chi sono io per giudicare un uomo?”, sospirò Valentina, e si accorse che la sua rabbia iniziale, la delusione, avevano ceduto il posto a quell’affetto che aveva avuto per lui quando era ancora in vita.
E Roberto? Ma quella è un’altra storia.

Elvira Bonin