martedì 11 giugno 2013

Il grande giornalismo: Ettore Mo. La grande fotografia: Samuele Galeotti



Ettore Mo è uno dei più grandi inviati di guerra che il giornalismo italiano ha avuto ed ha. Tra tutti i reportage che ha scritto per il Corriere della Sera, abbiamo scelto tre incipit. Li riteniamo sufficienti per comprendere la grandezza di un uomo che prima di raccontare i fatti, li vive.

Le donne di Ciudad Juárez. Vittime, madri e sicarie
(Corriere della sera – 16 agosto 2011)

Al cimitero di San Rafael, a pochi chilometri da Ciudad Juárez (città di confine con gli Stati Uniti, un milione e 300 mila abitanti) sono sepolti i cadaveri di 36 donne — diciotto delle quali mai identificate— e 19 bambini, tutti vittime della guerra del narcotraffico. Tra loro una studentessa di appena 16 anni, Rubi, uccisa a febbraio da un sicario degli Zetas, il gruppo più aggressivo dei Signori della droga: lo stesso che avrebbe poi provveduto ad eliminare, dietro ordine del capobanda Hariberto Lazcano detto El verdugo, il boia, la madre della ragazza, abbattuta a raffiche di mitra mentre denunciava l’impunità dei banditi davanti al municipio di Chihuahua, capoluogo della regione. Marzialmente definite chicas Kalashnikov per l’arnese che portano sempre in spalla quando scendono sul sentiero di guerra contro i sei gruppi armati dei narcotrafficanti, le amazzoni messicane se le devono pure vedere con gli schieramenti interni: quale il Cartello del Golfo, in perenne rivalità (talvolta cruenta) con la compagine narco-militare degli Zetas. Per Hillary Clinton, i narcos sono «un’insurrezione criminale», una bestiaccia nata o cresciuta grazie anche al massiccio contributo degli Usa. Come dimostra il fatto che ogni anno gli americani mandano in fumo 65 miliardi di dollari per alimentare il mercato degli stupefacenti, marijuana, coca, eroina, metanfetamine, provocando stordimenti e deliri di massa. Solo a Ciudad Juárez vivono (o sopravvivono) 80 mila cocainomani. (...)

Ritorno ad Haiti, l'isola dei bambini perduti
(Corriere della sera 11 novembre 2012)

Il fascino è sempre quello: e ne rimani stregato mentre all'aeroporto il taxi procede in salita verso il centro della capitale, le minuscole case aggrappate alla montagna come greggi di pecore o capre sugli alti pascoli.
Questa volta, però, l'isola porta i segni della catastrofe che l'ha colpita dopo il devastante terremoto del 12 gennaio 2010, cui fece seguito l'epidemia di colera - ora agli sgoccioli, con gli ultimi decessi a fine ottobre - con oltre settemila morti.
Un rapido pellegrinaggio nella tragedia mi conduce al villaggio di Calaville, nel Sud del Paese - dove incontro Madame Billy, una signora di 35 anni, che vive in una casa di tre metri per quattro, fatta di terra e giunchi. Era appena passato l'Uragano Sandy - racconta - e lei ha vissuto «ore terribili» nel timore che si portasse via in una raffica lei e i suoi sei figli, la sua casa, i suoi animali e anche l'orticello. (...)

Gonfiate con le pillole delle mucche a 11 anni. Le schiave del sesso in Bangladesh
(Corriere della sera – 19 agosto 2012)

Fanciulle di undici-dodici anni vittime di stupri quotidiani. Ragazzine che ogni giorno si accoppiano con cinque-sei uomini diversi per qualche soldo da portare a casa, a sostegno del magro bilancio familiare. Incessante, inoltre, l'attività dei bordelli legalmente autorizzati della città di Faridpur (due ore di macchina a sud-est della capitale) dove un migliaio di prostitute è al lavoro sette giorni la settimana, senza tregua. Così come avviene nell'isola di Bani Shanta, interamente popolata dalle «sex workers», le così dette «operaie del sesso», che alleviano la solitudine di turisti, marinai, scaricatori di porto e miriadi di sfaticati di ogni genere. In realtà, i dati delle statistiche sulla prostituzione - che sembra essere la maggiore «industria» del Paese - vanno continuamente aggiornati: e non dev'essere stata poca la sorpresa - anzi, lo stupore - per i forestieri di passaggio quando, tempo fa, appresero dai giornali che il flusso dell'acqua nelle fogne era stato inesorabilmente bloccato da una «barriera di preservativi». 

Samuele Galeotti è nato a Urbania (PU) e vive a Noale (VE). Negli Anni '70, scopre la passione per la fotografia e scatta le prime foto in bianco e nero sull'ambiente e sui personaggi della sua città, curandone personalmente tutti i passaggi, dal negativo alla stampa in camera oscura. In seguito, con uno studio serigrafico di Urbino, sperimenta il trasferimento delle sue immagini in serigrafie a mano e a tiratura limitata. Il paesaggio, rurale e urbano, è una sua costante, quasi un'ossessione, e si trasforma in luogo di riflessione interiore, in rivelazione poetica e illuminante, senza mai perdere solidi tratti realistici. Grazie a questi ultimi si fissano gli aspetti più autentici e inediti dei luoghi che ha davanti, senza disdegnare gli scatti provocatori e ironici del vivere quotidiano. Dopo periodi più o meno intensi di ricerca, di mostre e concorsi in cui ha conseguito premi e riconoscimenti, la sua attenzione si è rivolta sempre più alla progettazione e alla realizzazione di libri come autore, nei quali ha sviluppato il suo eclettismo e la sua sensibilità visiva con diversi e articolati linguaggi fotografici.





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