martedì 10 settembre 2013

" Le lettere d'amore" di Giarmando Dimarti e la "Cage en fleur" di Dante Marcos Spurio. La plaquette virtuale di UT n. 2






Non avresti dovuto, Roberto Vecchioni, scrivere versi come questi: le lettere d’amore / fanno solo ridere: / le lettere d’amore / non sarebbero d’amore / se non facessero ridere1. Non si può liquidare con alchimie linguistiche presuntuose i palpiti della mentecuore che vogliono significare il senso, a volte, cercare di analizzare i termini di una pulsione vissuta come ricerca della propria identità. Penso a come ti avrebbe risposto l’irreprensibile badessa Eloisa a difesa della sua esperienza amorosa totalizzante:« Ho amato con tutta me stessa, ho vissuto con tutta me stessa, ho scritto con tutta me stessa. Sono la mia scrittura. La mia scrittura è la mia anima». Per questo non le possono bastare neppure le parole del suo Abelardo, dialettico insigne: Ci trovammo prima uniti nella stessa casa poi nello stesso cuore, che ripercorrono la loro passione onnipresente, arenata nella concupiscenza. Giungendo a dire nei Problemata: nulla può inquinare l’anima se non ciò che viene dall’anima. E con asserzione perentoria: Io che ho molto peccato sono completamente innocente.
E come potremmo capire la complessa avventura umana e letteraria di Emily Dickinson se non sfogliassimo le numerose lettere (più di 300) indirizzate a Susan Gilbert (le risposte di questa, purtroppo, sono state distrutte). L’esilità, la semplicità e la quotidianità da cui prende le mosse la scrittura dickinsoniana si caricano di una forza irriverente, di una pensosità colma, di una ebbrezza vitale insospettabili. Starei per dire la miglior Dickinson, se non fosse che è proprio il passo esile, lento, esitante della sua poesia a farla unica. Ma qui, il sentimento provato, qualunque esso sia, rompe gli schemi della convenzione e si abbandona all’abisso del sogno incarnato: il mio cuore è pieno di te, sino alla reticenza audace: non abbiamo bisogno di parlare a tutti…e aggiungo un bacio, timidamente, che non ci sia qualcuno lì! È una misura aggiunta, è un fare desueto che spalanca una diversità poco avvertita, e che sarebbe passata sotto silenzio.
Hai mai letto la complessa lettera di Oscar Wilde a Lord Alfred Douglas scritta dal carcere di Reading, dove era finito nel 1897 per il reato di sodomia? Te ne voglio ricordare un frammento celebre per la sua intensa drammaticità:
Mio carissimo ragazzo,
questo è per assicurarti del mio amore immortale, eterno per te. Domani sarà tutto finito. Se la prigione e il disonore saranno il mio destino, pensa che il mio amore per te e questa idea, questa convinzione ancora più divina, che tu a tua volta mi ami, mi sosterranno nella mia infelicità e mi renderanno capace, spero, di sopportare il mio dolore con ogni pazienza. Poiché la speranza, anzi, la certezza, di incontrarti di nuovo in un altro mondo è la meta e l’ incoraggiamento della mia vita attuale, ah! debbo continuare a vivere in questo mondo, per questa ragione. 
Il finissimo ragionatore, il grande poeta, il commediografo esilarante, il pungente aforista onniargomentativo, il dandy per antonomasia si ritrova in una confessione paradossale nei confronti del suo modus vivendi et operandi. Si avventura in un territorio dove la prassi dell’anomalia esistenziale, tanto cercata e vissuta, diviene sorprendentemente sublimata in uno slancio ideale, quasi ad inverare l’auspico riposto dalla madre nella scelta del nome tratto dalla mitologia irlandese: figlio di Oisín poeta e guerriero, nato nella terra dell’eterna giovinezza. Nella dura esperienza del carcere la sublimità dell’amore nei confronti della ottusa concupiscenza, rende Oscar un maestro di saggezza nei confronti della meschinità degradante del discepolo Bosie (Lord Alfred Douglas), riscoprendo il significato profondo e insostituibile del dolore nella vita umana: Il dolore è la suprema emozione di cui l’uomo è capace. Questa lettera, dalle lunghe peripezie, è stata correttamente ed integralmente pubblicata solo nel 1962 da Ruper Hart-Davis. Oggi fa parte dell’intero corpus di lettere edito nel 2000 a New York da Marlin Holland e Ruper Hart-Davis con il titolo di The Letters of Oscar Wilde, dal quale è stata riscritta la complessa vita dell’autore.
Lettere, quindi, come vita e non pezzi di archeologia sentimentale per voyeurs. Tanto meno da far ridere.
Avresti fatto meglio, Roberto, a far tesoro di quanto dicono questi versi del tuo amico Pessoa, al quale hai dedicato la canzone citata all’inizio: Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, / non c’è niente di più semplice. / Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. / Tutti i giorni tra l’una e l’altra sono miei*.
Noi possiamo e dobbiamo solo sforzarci di comprenderli. E basta.

*Roberto Vecchioni, Le lettere d’amore, dall’Album Il cielo capovolto, 1995.
*Fernando Pessoa/Alberto Caeiro, Poemas Inconjuntos, in “Atena” n. 5, febbraio 1925. 

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