mercoledì 25 settembre 2013

UT IL SUONO - n 3 2013



In questo numero

Editoriale
Il fascino del suono del sole e della luna
di Massimo Consorti
Tanti anni fa, il Grundig radio/fonografo ne trasmetteva centinaia... di suoni. Se la sintonia non era all'altezza, oltre ai suoni si sentivano gracchiate da mandare fuori di testa tutti, ma non me. Io amavo i suoni, qualunque essi...

Il racconto
L'incompiuta (una storia vera)
di Alessandro Cascio
"Devi avere una cazzo di dote nella vita", mi disse una volta il generale, "perché i giovani come te la società non vuole vederli in strada, ma in galera, in manicomio o sopra un palco". La mafia nel mio paese era ferma a oziare...

Schegge letterarie

Il flauto magico
di Giarmando Dimarti
Il mio non vuol essere un riferimento al famosissimo Die Zauberflote di Wolfgang Amadeus Mozart né, con un rimando più recente, al Pifferaio di Hamelin o Pifferaio magico nella conosciuta trascrizione dei fratelli Grimm...

Il suono che colpisce al cuore e cattura l'anima
di Lito Fontana
Quando vai a un concerto e rimani abbagliato dal musicista e dalle melodie che esegue, è il suono che ti fa questo effetto. E se il suono delle note emesse dal suo strumento è bello, contaci: ti colpisce direttamente al cuore...

Isola
di Antonella Roncarolo
Il silenzio, innanzitutto. Un silenzio immenso, asciutto, potente. Non il silenzio imbarazzato tra chi è costretto a convivere in spazi grigi e ristretti. Neanche quello della solitudine dei grandi alveari della città. Al contrario...

Poesie e Poeti

Da frchina
di Enrica Loggi
Fu da bambina la prima volta
che sentii suonare una chitarra.
Ero io che con la manina
muovevo le corde per gioco...

Senza titolo
di Rossella Frollà
Le margherite bianche d'estate
sollevano il cielo
le guardo dondolare,
l'aria piange la memoria di ognuna...

Sillabe
di Emanuele Feliziani
L'obiettivo piomba sempre
in fondo al rigo - è un conto - 
un argano e pompa sangue,
se, un secondo dopo detta...

Il suono
di Michaela Menestrina
Parole di odio
mutano il suono in puzzolente fragore
Parole d'amore
Illuminano l'istante in fragrante sussurro...

Rubriche

Somiglianze
a cura di Rossella Frollà
Senza titolo
di Claudio Damiani
E questo canto, amore mio, di cicale
sotto il sole di luglio, in una campagna italiana,
cielo azzurro e poche nuvole, piccole,
odore forte di rosmarino e ginestre...

Prima era rima
a cura di Michele Ortore
La lotta di classe tra video e suono
di Davide Nota
[…] La bomba s’apre come un fiore acido
di pixel verdi e viola, un cavolfiore
spettacolare. Estetica del crash,
se esistere è violare in un accumulo...

Il corsivo
Il canto del mondo
di Alceo Lucidi
Il canto del mondo, ritrovando il titolo del romanzo di uno francese, Jean Giono. Proprio così. In fondo siamo immersi nei suoni. La loro indefinibile matassa ci avvolge senza requie, alle volte scuotendoci, altre, lasciandoci...

L'elzeviro
Suono, ma nessuno mi apre
di Giuseppe Piscopo
Ci vuole orecchio! Per fare certe cose ci vuole orecchio! Cantava Enzo Jannacci. Quanti suoni arrivano al nostro padiglione auricolare? Tanti, una vera colonna sonora che fa da sfondo alla nostra vita. Le vibrazioni si diffondono...

Il piedino
Suono che corre sulle punte
di Alessandra Morelli
Le risate nel salone, il fruscio delle camelie, la tosse roca.
L'anima di Violetta Valery ha innumerevoli echi,
che sembrano dire sempre la stessa cosa: Amami

L'opera
Lonely Hearts
di Marco Lodola
con uno scritto di Pier Giorgio Camaioni
Due note nel cognome, intanto. Ma quante le opere a tema musicale: il contrabbassista, la pianista, il trombettista, l'orchestra d'archi, il chitarrista folk, la ragazza a cavallo della chitarra o dentro una lampadina...

L'oggetto pensante
Spaghi rossi
di Francesco Del Zompo

La fotografia
Frequency
di Dante Marcos Spurio

La vignetta
OrecchiUT
di Giuseppe Piscopo



giovedì 19 settembre 2013

Plaquette virtuale n. 3. UT Il Suono e gli "Spaghi rossi" di Francesco Del Zompo


Spaghi rossi 

Pietro passava una buon’ora a preparare Mario per l’uscita delle cinque.

Questo d’estate, d’inverno anticipavano almeno di una partita di calcio, data la prontezza del sole a voltare in cantina. La cecità piombata d’un botto consentiva a Pietro solo incerti movimenti domestici, e fuori diventava come un uccellino spaurito sotto un temporale.
Ven‘ amic‘, fidat‘ d‘ mm”, disse Pietro al suo compagno di vita con voce gutturale. Mario annuì. Aveva capito e, spediti come lumache, iniziarono ad avanzare sulla fascia di strada protetta dal traffico. Passeggiavano spesso insieme lungo il viale alberato del centro cittadino, fino ad arrivare al bar ‘benedetto’, quello che accoglieva ogni sorta di clientela: dal pensionato al giovane squattrinato che riusciva a tenere compagnia a un bicchiere vuoto per quasi tutto il pomeriggio, revisionando il fondo schiena di ogni lady che passava. La domenica mattina Duetto, il bar, era il consueto punto di ritrovo degli anziani marinai che, affrancandosi con una coppa di vino, si srotolavano storie sempre uguali, o almeno a me apparivano tali per la mia congenita, scarsa attenzione.
Ogg‘ però c‘ sntamo una bella muschett‘ prm‘ d‘ uscrr. Ch n‘ dc di Bn...? Mario, questa volta, si fece capire a malapena da Pietro, perché gli era troppo difficile articolare quella frase, data l’afasia, conseguenza dell’ictus di anni prima. Ma fa niente, si prese il disco giusto e lo mise sul piatto a girare. Che bello sarebbe stato averli visti davvero, anche per me, così poco incline all’eccitazione. L’opera, la loro passione, era “Una furtiva lagrima” cantata da Beniamino Gigli, che li fece tornare per un attimo acerbi, quando insieme cantavano tra gonne e brache familiari ma attentissime alla minima stonatura. Godevano delicatamente di quelle melodie. Parole intense di bellezza e d’amore struggente, che solo loro riuscivano a rivivere nella franchezza dei sentimenti. L’età non conta di fronte alle emozioni, quando le si riesce a provare ancora. Sentire, ascoltare, gioire delle loro palpitazioni insieme alla musica è come vedersi e flirtare con cento amanti e forse più. La musica li fondeva come in un fuoco magmatico per poi danzare sugli spaghi rossi del metallo incandescente dell’anima. Mario, più di Pietro, riusciva a concentrarsi sulle onde della musica veleggiandoci sopra come un clipper di comprovata navigazione, muovendo la testa al ritmo flessuoso del mare. L’altro ne coglieva le assonanze con luoghi più domestici, ricercando nel suono le tonalità più calde come la sua terra d’origine, dove il verde si coniuga armoniosamente al giallo oro delle spighe adulte.
Amico mio, che peccato sarebbe non poter ascoltare neanche il soffiare del vento d’inverno, la frotta di rondini al primo sole o la voce del nostro Beniamino”. Pietro fece un cenno del capo ringraziando la fortuna per entrambi.

Francesco Del Zompo

Francesco Del Zompo, accesosi un dì a Sben, spera tanto, di spegnersi altrove. La grafica, la comunicazione, il design, l’editoria d’arte sono campi in cui ama applicarsi. Tra essi sogna ancora di trovare quello giusto. Nel frattempo...


Oggetto pensante n. 37 “Spaghi rossi”
per UT Il suono, luglio 2013.
Materiali vari

giovedì 12 settembre 2013

Le "prove" di Marco Lodola per UT "Il suono". Ma la scelta...



Queste sei opere sono state le proposte di Marco Lodola per il numero di UT n. 3/2013, dedicato al "Suono". Quella scelta all'unanimità dalla redazione è stata la... settima. Chi volesse prenotare le copie della rivista può farlo seguendo le indicazioni riportate sul blog alla voce "abbonamenti".

martedì 10 settembre 2013

" Le lettere d'amore" di Giarmando Dimarti e la "Cage en fleur" di Dante Marcos Spurio. La plaquette virtuale di UT n. 2






Non avresti dovuto, Roberto Vecchioni, scrivere versi come questi: le lettere d’amore / fanno solo ridere: / le lettere d’amore / non sarebbero d’amore / se non facessero ridere1. Non si può liquidare con alchimie linguistiche presuntuose i palpiti della mentecuore che vogliono significare il senso, a volte, cercare di analizzare i termini di una pulsione vissuta come ricerca della propria identità. Penso a come ti avrebbe risposto l’irreprensibile badessa Eloisa a difesa della sua esperienza amorosa totalizzante:« Ho amato con tutta me stessa, ho vissuto con tutta me stessa, ho scritto con tutta me stessa. Sono la mia scrittura. La mia scrittura è la mia anima». Per questo non le possono bastare neppure le parole del suo Abelardo, dialettico insigne: Ci trovammo prima uniti nella stessa casa poi nello stesso cuore, che ripercorrono la loro passione onnipresente, arenata nella concupiscenza. Giungendo a dire nei Problemata: nulla può inquinare l’anima se non ciò che viene dall’anima. E con asserzione perentoria: Io che ho molto peccato sono completamente innocente.
E come potremmo capire la complessa avventura umana e letteraria di Emily Dickinson se non sfogliassimo le numerose lettere (più di 300) indirizzate a Susan Gilbert (le risposte di questa, purtroppo, sono state distrutte). L’esilità, la semplicità e la quotidianità da cui prende le mosse la scrittura dickinsoniana si caricano di una forza irriverente, di una pensosità colma, di una ebbrezza vitale insospettabili. Starei per dire la miglior Dickinson, se non fosse che è proprio il passo esile, lento, esitante della sua poesia a farla unica. Ma qui, il sentimento provato, qualunque esso sia, rompe gli schemi della convenzione e si abbandona all’abisso del sogno incarnato: il mio cuore è pieno di te, sino alla reticenza audace: non abbiamo bisogno di parlare a tutti…e aggiungo un bacio, timidamente, che non ci sia qualcuno lì! È una misura aggiunta, è un fare desueto che spalanca una diversità poco avvertita, e che sarebbe passata sotto silenzio.
Hai mai letto la complessa lettera di Oscar Wilde a Lord Alfred Douglas scritta dal carcere di Reading, dove era finito nel 1897 per il reato di sodomia? Te ne voglio ricordare un frammento celebre per la sua intensa drammaticità:
Mio carissimo ragazzo,
questo è per assicurarti del mio amore immortale, eterno per te. Domani sarà tutto finito. Se la prigione e il disonore saranno il mio destino, pensa che il mio amore per te e questa idea, questa convinzione ancora più divina, che tu a tua volta mi ami, mi sosterranno nella mia infelicità e mi renderanno capace, spero, di sopportare il mio dolore con ogni pazienza. Poiché la speranza, anzi, la certezza, di incontrarti di nuovo in un altro mondo è la meta e l’ incoraggiamento della mia vita attuale, ah! debbo continuare a vivere in questo mondo, per questa ragione. 
Il finissimo ragionatore, il grande poeta, il commediografo esilarante, il pungente aforista onniargomentativo, il dandy per antonomasia si ritrova in una confessione paradossale nei confronti del suo modus vivendi et operandi. Si avventura in un territorio dove la prassi dell’anomalia esistenziale, tanto cercata e vissuta, diviene sorprendentemente sublimata in uno slancio ideale, quasi ad inverare l’auspico riposto dalla madre nella scelta del nome tratto dalla mitologia irlandese: figlio di Oisín poeta e guerriero, nato nella terra dell’eterna giovinezza. Nella dura esperienza del carcere la sublimità dell’amore nei confronti della ottusa concupiscenza, rende Oscar un maestro di saggezza nei confronti della meschinità degradante del discepolo Bosie (Lord Alfred Douglas), riscoprendo il significato profondo e insostituibile del dolore nella vita umana: Il dolore è la suprema emozione di cui l’uomo è capace. Questa lettera, dalle lunghe peripezie, è stata correttamente ed integralmente pubblicata solo nel 1962 da Ruper Hart-Davis. Oggi fa parte dell’intero corpus di lettere edito nel 2000 a New York da Marlin Holland e Ruper Hart-Davis con il titolo di The Letters of Oscar Wilde, dal quale è stata riscritta la complessa vita dell’autore.
Lettere, quindi, come vita e non pezzi di archeologia sentimentale per voyeurs. Tanto meno da far ridere.
Avresti fatto meglio, Roberto, a far tesoro di quanto dicono questi versi del tuo amico Pessoa, al quale hai dedicato la canzone citata all’inizio: Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, / non c’è niente di più semplice. / Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. / Tutti i giorni tra l’una e l’altra sono miei*.
Noi possiamo e dobbiamo solo sforzarci di comprenderli. E basta.

*Roberto Vecchioni, Le lettere d’amore, dall’Album Il cielo capovolto, 1995.
*Fernando Pessoa/Alberto Caeiro, Poemas Inconjuntos, in “Atena” n. 5, febbraio 1925.