sabato 1 marzo 2014

La mostra. Il wendersiano blues di Dante Marcos Spurio. Al "Magazeno arts & music social club"


Indagando profili rossi nella nebbia di Pechino o cogliendo lo sfrangiamento di una etichetta adesiva strappata, Dante Marcos Spurio fotografa il visibile. Certo, l'occhio di un fotografo ha una profondità desueta. Non indaga, scruta. Non occhieggia, penetra. È come se sentisse risuonare la litania di una preghiera in una chiesa piena dell'immanente ma vuota di gente, in cui solo una tenda-sipario ne dimensiona l'architettura essenziale.


Poi, stanco del rintocco delle campane, si riappropria della dimensione umana che un paio di scarpe abitate poggiano a terra per non volare. Volare perché, poi? I rifiuti sono un segno, magari un simbolo, forse solo sciatteria per niente fantastica né fantasiosa. 
 

Ed è allora che spuntano i riflessi, come ricorsi, come armonie, come melodie, come ritmi di un bianco e nero sfolgorante nel suo gioco di specchi che rimandano a Doisneau (ma quanto lo amiamo!) Risuona il rock acido della corrosione figlia della violenza. E se il disprezzo assume la forma di uno scarico, è perché lì finiscono le idee di un mondo insudiciato dall'inerzia di una vita che scorre senza che nessuno riesca a darle un senso.



Volano bestemmie e imprecazioni, in quel lavandino che non ne vuole sapere di tornare ai vecchi fasti, proprio come quell'incensiere che abbiamo lasciato tanto tempo fa all'alba di un vecchio villaggio.
Ma la visione si fa prospettica e il mondo ci richiama alle nostre responsabilità. Siamo figli di schemi indistruttibili che gli architetti delle nostre esistenze disegnano sulla carta per poi fissarli in aree, spazi e spiazzi sperando che qualcuno, osservandoli, possa dire: “Wow”! Resta però una sorpresa che nell'asettico non ti aspetteresti mai: la voglia di un ragazzino di percorrere cunicoli svettanti costruiti dai grandi per altri grandi. La sfida continua e i due mondi, quello degli adulti e quello dei bambini, si incontrano senza scontrarsi ma penetrandosi. Un messaggio? Forse, magari di pace, se non altro interiore.



Ma dalle costruzioni degli adulti si scende e davanti si sviluppa la strada.
Inizia il cammino, si scoprono foreste e cascate disegnate sull'asfalto al posto degli stupidi segni che ci obbligano a seguire quel percorso segnato da frecce che non danno speranza. A destra, a sinistra, mai avanti, dritti e con la schiena dritta, da uomini e non da automobilisti distratti, men che meno, pedoni. Dante Marcos ruba colori che assumono sembianze, tratti e ritratti fisici che occupano spazi altrimenti inerti.


È il gioco delle dimensioni quello che spinge un paio di baffi a stringere in mano un bicchiere. È la versione Social Club di questo “Wenders” dall'occhio magico. E se il piano di marmo si colora di rosa, rosso è il cappello che fa pendant con il vino, l'aranciata di tarocchi, la brocca dell'acqua e un tabacco da rollare perché l'altro, quello preconfezionato, un po' ci fa schifo. 


Lilly è seduta, poggia la testa sul ginocchio perché l'aria della sera è dolce e favorisce l'assopirsi lento di un'anima in pena. È bella Lilly, con lo scialle e le frange, il braccialetto color carne e il fiore nei capelli. Se non fosse Lilly sarebbe Marinella o perché no, Bocca di Rosa dopo l'ultimo bacio. Se non fosse Lilly sarebbe Carmen perché le “ballerine” lo sono davvero e non avere tacchi spinge a balli sfrenati sull'aia di Jenny.
Quanti amori è Lilly? Quanti pensieri e quante emozioni vive durante le sue giornate trascorse aspettando la notte? Allora non è più l'occhio del fotografo che ne cattura la posa, ma lo sguardo preoccupato dell'amante in attesa di una risposta che non verrà mai perché di domande non ne ha fatte. Il mondo di Dante Marcos Spurio è un “wendersiano blues”, quello che attraversa i Cieli di Berlino e la Bodeguita del Medio in un giro di accordi che parte da un mi7 e va finché può, finché vuole.
E la Lilly di Dante ci fa impazzire perché su quel ginocchio vorremmo addormentarci anche noi. 

Foto: Dante Marcos Spurio
Testo: Massimo Consorti